Insegnanti feriti e picchiati. Cosa sta succedendo nella scuola?
Riflessione sui recenti fatti di cronaca nazionale a cura di Mario Maviglia
In questo ultimo periodo la scuola è balzata agli onori della cronaca per alcuni fatti di violenza che hanno visto coinvolti degli studenti. In una scuola in provincia di Caserta uno studente ferisce al volto l’insegnante di italiano rea di volerlo interrogare per fargli recuperare una insufficienza. A Cagliari uno studente di 14 anni aggredisce una docente colpendola con un pugno al viso perché era stato rimproverato dalla stessa in quanto usava il cellulare in classe. In provincia di Cosenza una studentessa di 16 anni, richiamata dalla docente a causa dell’abbigliamento poco consono al contesto scolastico, telefona alla madre la quale interviene prontamente contro la docente con urla e spintoni.
Episodi di questo tipo rischiano purtroppo di diventare sempre più frequenti.
Al di là dei singoli casi, ognuno dei quali presenta una sua specifica configurazione, qui ci interessa fare un ragionamento di carattere più generale, avendo piena consapevolezza che si tratta di un problema molto complesso non interpretabile in modo semplicistico.
Allievi e docenti, motivi dei comportamenti distorti
Sono molti i fattori che contribuiscono a distorcere i rapporti tra docenti e allievi.
1. I docenti hanno perso nel corso degli ultimi decenni quel prestigio sociale che veniva riconosciuto loro nel passato, complice anche alcune campagne di stampa tese a descrivere i docenti come una categoria privilegiata per il ridotto numero di ore svolte in classe, per i lunghi periodi di vacanza di cui godono, per il garantismo che contraddistingue il loro rapporto di lavoro. Va però anche detto che spesso questo prestigio è stato eroso dall’interno del sistema scolastico stesso, ad esempio con modalità assunzionali che hanno privilegiato la quantità più che la qualità e non hanno tenuto adeguatamente conto delle effettive competenze professionali e psicopedagogiche possedute dai docenti. A tutto ciò va aggiunto il modesto status economico-retributivo dei docenti italiani che non ha eguali nei Paesi comparabili all’Italia e che ha progressivamente relegato i nostri insegnanti in una fascia bassa della già affaticata “classe media”. Quest’insieme di fattori restituisce un’immagine debole dei docenti, la cui “attaccabilità” sempre più spesso travalica i confini del simbolico.
2. Nel corso degli anni vi è stata una sorta di mutazione genetica nel rapporto tra le famiglie e i docenti, nel senso che è venuto meno quel patto implicito che vedeva alleati, se non complici, i genitori e i docenti rispetto all’educazione-istruzione dei ragazzi, patto che raramente metteva in dubbio la bontà e l’autorevolezza dell’intervento del docente. Oggi i genitori assumono sempre più spesso il ruolo di “sindacalisti” dei propri figli, adottando strategie collusive nei loro confronti in contrapposizione al docente, visto come un “nemico”. Emblematico appare sotto questo profilo il ricorso sempre più frequente al contenzioso giudiziario per contestare le valutazioni scolastiche negative dei figli (quando invece nel passato era più facile assistere a qualche scapaccione nei confronti del figlio che riportava voti scadenti in pagella).
3. Quanto abbiamo detto è strettamente collegato al fenomeno delle famiglie mononucleari con un solo figlio a coppia verso cui si riversa un carico di aspettative spropositato. L’eventuale insuccesso dell’unico figlio coincide tout court con la bocciatura della famiglia tutta, senza possibilità di appello. In questo senso si è meno disponibili ad accettare eventuali valutazioni negative da parte della scuola, in quanto mettono in dubbio non solo i risultati scolastici del ragazzo, ma le stesse possibilità di successo della famiglia.
4. Ed infine non va trascurato il fatto che i ragazzi odierni sembrano meno attrezzati, sul piano psicologico, ad affrontare e superare le frustrazioni che inevitabilmente la vita riserva loro, forse perché non vengono adeguatamente abituati a fare i conti con gli inciampi affettivi e relazionali che incontrano nel loro cammino anche scolastico. In questo contesto ogni richiamo viene vissuto come un attacco alla propria integrità e caricato di significati che vanno decisamente oltre il dato di realtà.
Che cosa può fare la scuola?
Come si vede il problema presenta una sua oggettiva complessità la cui gestione non appare semplice. Si può cercare di contrastare tali fenomeni adottando all’interno della scuola una modalità condivisa e comune di affrontamento dei problemi in modo che il singolo insegnante non venga lasciato solo a trovare strategie di intervento. Questo aspetto appare molto importante in quanto consente di restituire un’immagine di scuola con una propria identità forte. Ad esempio è importante definire le modalità dello stare a scuola. In altre occasioni abbiamo avuto modo di osservare che frequentare la scuola (a qualunque titolo avvenga tale frequenza, come docente o come alunno o come genitore) segna il passaggio da uno spazio privato (quello familiare e domestico) ad uno spazio pubblico (quello scolastico), governato da regole, riti, codici comunicativi e comportamentali inevitabilmente diversi. Una grande fatica che gli insegnanti spesso incontrano è proprio quella di far comprendere agli allievi (e sempre più spesso anche ai genitori) questa differenza. Non è solo una questione formale, ma di sostanza, in quanto se non viene interiorizzata questa differenza saltano tutte le regole di convivenza civile all’interno del contesto scolastico. A scuola si sta in un certo modo, si utilizzano determinati codici comunicativi e si adottano determinate condotte comportamentali. Se si esce fuori da questo perimetro relazionale e comunicativo si cade nell’anomia e nell’esaltazione del narcisismo dei singoli, con le conseguenze anche drammatiche descritte sopra.
Intorno a questo basilare principio ogni scuola (di qualsiasi ordine e grado) dovrebbe definire il proprio modello comunicativo e relazionale sia al proprio interno che nei confronti dell’esterno. Ciò è il presupposto per creare un terreno di coltura sfavorevole alle manifestazioni di violenza.
Mario Maviglia - già Ispettore Miur e Dirigente Ufficio Scolastico di Brescia